In viaggio con l’AIKIDO
Le stagioni della crescita
La via dello Shodan
A SCUOLA SI OSSERVA LA DIVERSA MODALITA’ DI RELAZIONE CON I PROPRI PARI DA PARTE DEI BAMBINI NELLE SITUAZIONI DI GIOCO, LA QUALE DENOTA LA LORO CAPACITA’ DI INCLUDERE GLI ALTRI NELLA PROPRIA SFERA PERSONALE (MORALE,AFFETTIVA, ESISTENZIALE) ANZICHE’ QUELLA DI ESCLUDERLI CON ATTEGGIAMENTI PREVARICANTI E DISCRIMANTI. SI ESPRIME E SI EVIDENZIA QUESTA PROFONDA DIFFERENZA DI QUALITA’ UMANE CON LA FRASE: SI SCHERZA INSIEME AGLI ALTRI E NON CONTRO GLI ALTRI.
APPUNTI DAL MONDO SCUOLA
Maai - LA DISTANZA
Per meglio spiegare il termine di kokoro, introdurrò il principio della giusta distanza, un nesso non solo tecnico come vedremo.
Saper gestire le distanze con "l'avversario", è premessa centrale nell'approcciare ad un attacco. Il principiante spesso è annodato in valutazioni e riflessioni sulla propria guardia:
il sankaku è giusto?
Che guardia tenere per accorciare poi le distanze e non trovarmi con prese che inibiscono la tecnica da eseguire?
Quali movimenti attuare?
Sono in gyaku o in ai hanmi?
Preparo un irimi, uno tsuki ashi, oppure un tenkan, un passo indietro, un cambio di guardia?
Queste preoccupazioni rallentano il nostro modo di agire, distogliendo la concentrazione dalle attenzioni primarie:
che attacco sta portando uke?
come si dispone?
se ne ho il tempo, quali condizioni predisporre per essere efficace, per creare una situazione a mio vantaggio?

Duel between Sasaki Kojiro and Miyamoto Musashi
Il Duello ebbe luogo nell'isola di Funajima, il 14 aprile 1612
fonte: Roger Ferland via Flickr
La posizione di guardia e i movimenti da fare sono secondari e fuorvianti.
Principalmente trovare giusta distanza d' "ingaggio", non presentarsi titubanti o frontali all'attacco, paradossalmente ridurre le distanze con un inclinazione ad entrare, ad avvicinarsi al centro di uke, piuttosto che indietreggiare, prendere contatto con le dovute sicurezze.
In quest'ottica Kokoro diventa lo specchio, l'espressione del nostro essere e del nostro bagaglio tecnico. Prendere il centro all'avversario, occupare il fulcro dello squilibrio, come ad es. Nel KOTEGAESHI in forma ura, dove addirittura si va dietro, oltre uke, denota il senso di sicurezza di centratura dell'aikidoka. La stessa cosa avviene su alcuni dettagli tecnici, i quali mettono in luce connotazioni caratteriali che l'aikido ci aiuta con la pratica, a rendere consapevoli e, imparando a riconoscerli, a sapere gestire eventuali correzioni: porto l'esempio dei tagli su alcuni KOKKYU o nello SHIHONAGE , dove la tendenza a piegare il gomito e a tirare a sé l'altro denota ancora una considerazione egotica e solitaria del fare aikido, invece che entrare con il taglio come a volere andare oltre il corpo di uke, giacché uke è parte coinvolta e necessaria del fare aikido.
Personalmente soffro ancora molto questa attitudine ad accorciare le distanze, a prendere e tenere il centro dell'avversario, ci sono tare e condizionamenti che mi portano a valutare questa vicinanza che diviene sovrapposizione di corpi, emozioni, spirito come una forma di violenza e prevaricazione. Tendo quindi a tenere ampie le distanze e i movimenti circolari, rimanendo esposto ai colpi dell'avversario e rendendo gli squilibri meno efficaci. D'altra parte so che distanze minime e il contatto con uke mi permettono di sentire cosa accade, di fare cioè affidamento sulla mia propacezione sensoriale, di ridurre il rischio di colpi e di essere sempre pronto e reattivo ad evolvere in mio favore le forze vettoriali messe in campo dal compagno di allenamento. Qui Kokoro si fa titubante e questo mettere in dubbio le proprie capacità lede alle fondamenta l'essere in aikido, dove a mio personale parere tutto ruota intorno al radicamento della propria autostima, se si ha fiducia in sé e nei propri mezzi anche l'aikido si esprime con sicurezza e tecniche appropriate. La calma ci permette di ascoltare e di vedere spiragli di azione senza la frenesia, l'agitazione e l'impulsività dettati dalla paura di fallire.
A riguardo ho trovato e focalizzato la pratica intorno ad un concetto-modello che mi aiuta a gestire queste situazioni di criticità: da un lato il superamento del proprio ego, dall'altro lato ad accettare con umiltà se stessi ed i propri limiti (temporanei si spera). Imparare a morire è un pensiero personale che coniuga e riconduce questa dualità in un atteggiamento di accettazione del momento, dove l'ego lascia ogni pretesa di successo e i limiti e le difficoltà sono semplicemente presenti e riconosciuti.
MUSHOTOKU SI PRATICA VIVENDO FINO IN FONDO!
SENZA SCOPO, SENZA SPIRITO DI PROFITTO, SENZA DIVENIRE DOGMA!